Questo libro parla di un delitto. E del suo autore, a cui quel crimine costerà molto caro. Tutto accade in poco tempo, tra l'ottobre del 1608 e il gennaio del 1610, quando il cielo che si credeva di conoscere viene distrutto. Il cielo contemplato da Omero e Ovidio, da Aristotele e Tolomeo, da Dante e Tommaso d'Aquino, a un certo punto non esiste più.
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Anzi, ed è questa la cosa davvero terribile, non è mai esistito. E a fargli violenza, a stravolgere l'idea di rassicurante ordine che da sempre simboleggiava, è un oggetto nato quasi per scherzo, che permette di trascendere i limiti imposti dalla natura ai sensi e alla conoscenza umana. Spesso descritta in modo lineare e al limite della banalità, l'invenzione del telescopio assume qui, grazie anche alla pubblicazione di numerose lettere e documenti d'archivio inediti, i tratti di una storia più complicata e sofferta, dove in primo piano non c'è solo Galileo. Con lui, protagonisti sono matematici, astronomi, filosofi e teologi come Paolo Sarpi, Johannes Kepler e il cardinale Bellarmino, ma anche artigiani, uomini di corte, ambasciatori, nunzi pontifici e sovrani come Rodolfo II, Enrico IV e Giacomo I, insieme a poeti e artisti della levatura di John Donne e Jan Brueghel. Una storia avvincente, raccontata istante per istante, dove la potenza visiva del nuovo strumento fini per incarnare significati che andavano ben oltre la scienza degli astri.
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